Il boomerang oscuro
- Liceo Rocci
- 25 mar 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Tratto dal Numero 3 del Vox Rocci, uscito in data 25 marzo 2021
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Mi ricordo ancora quel giorno, a distanza di dieci anni da quell’evento che mi segnò, mi sembra passata solo una settimana. Quel maledetto giorno che portò via la vita dei miei amici e mi fece correre a causa del pericolo fino a quasi perdere i sensi. Me lo ricordo bene: era un weekend come altri ed io, la mia famiglia e due miei amici andammo in campeggio in quella che probabilmente era una delle foreste più belle che abbia mai visto in tutta la mia vita, ma iniziai a vederla in tutt’altro modo dopo quello che successe. Il giorno dopo essere arrivati ed aver sistemato tutto, io e i miei amici andammo in una zona pianeggiante a giocare a calcio e col boomerang, ci stavamo divertendo un sacco fino a quando non tirai il boomerang troppo lontano e finì in mezzo al bosco. Decidemmo di andarlo a riprendere insieme, il bosco era a dir poco stupendo: alberi maestosi, piante meravigliose, fiori stupendi, aria pulita ed una brezza leggera che ti faceva venire voglia di stenderti a terra e goderti ciò che madre natura ci aveva donato. Dopo circa un quarto d'ora che stavamo passeggiando allegramente nel bosco, ritrovammo il boomerang conficcato nel tronco di un albero, eravamo rimasti stupiti e iniziammo a ridere su quanta forza ci avessi messo per lanciarlo. A fianco all’albero dove trovammo il boomerang, un mio amico notò una specie di porta incisa nel tronco con tanto di serratura. Come il mio amico notò quella stranezza, iniziammo ad avere paura e volevamo tornare indietro scordandoci il prima possibile di quella cosa, ma la voglia di sapere cosa ci fosse dietro quella porta era superiore alla paura che provavamo. Così tirai fuori una graffetta che avevo in tasca e provai a manomettere la serratura per aprirla. Si aprì. Quello che vedemmo era il buio più totale, fino a quando non sentimmo uno strano suono: sembrava il pianto di una bambina, ma non proveniva proprio da una bambina, visto che la voce non era di un essere umano.
Il rumore diventò più forte e più fastidioso, la voglia di sapere cosa ci fosse lì dietro era scomparsa del tutto e non volevamo più stare nei dintorni di quell’albero. Prima di scappare, il rumore cessò ma uscì fuori da quel tronco una creatura a dir poco orribile: corpo piccolo, gambe lunghissime e magrissime, zampe uguali a quelle di un velociraptor, testa deformata simile a quella di un capibara, corna lunghissime dalla punta affilatissima, denti paragonabili a rasoi, occhi completamente neri e tentacoli lunghissimi al posto delle braccia.

Ora si che avevamo la voglia di andarcene il prima possibile. Una delle due povere anime rimase letteralmente paralizzata dalla paura, non riusciva neanche a muovere un dito e infatti, fu la prima vittima della bestia. Vedere il mio amico fatto a pezzi da quella creatura fu a dir poco traumatico, ma purtroppo era già morto e andare in suo soccorso sarebbe stato inutile. Mentre io e l’altro mio amico ancora in vita (per poco) stavamo scappando a perdifiato, inciampò e si ruppe la gamba, la bestia era lontana ma era veloce e a raggiungerci non ci avrebbe messo molto. Lo presi in braccio come lo sposo prende in braccio la sposa, ma niente da fare… Inciampai anch’io e mi graffiai il ginocchio ma lui sbatté la testa su un sasso e perse i sensi, poco prima di prenderlo e scappare, arrivò la bestia e fece fuori anche lui. Ero distrutto sia emotivamente che fisicamente ma dovevo uscire da quel posto a tutti i costi, corsi come non avevo mai corso in tutta la mia vita: il battito del mio cuore era diventato incalcolabile e le mie gambe mi facevano malissimo come se mi ci avessero sparato.
Ma io ho resistito, vidi la luce del sole che splendeva sull’area pianeggiante su cui fino a qualche ora prima, eravamo in tre a divertirci.
Arrivai e mi buttai a terra sfinito, sembrava che stessi morendo ma riuscì a riprendere i sensi e ad arrivare fino alla zona in cui erano i miei genitori, appena arrivato mi dissero: «Eccoti finalmente, ma dove sono i tuoi amici», io traumatizzato urlai: «Non c'è tempo per la spiegazioni. Dobbiamo andarcene. Subito.» Loro stupiti e un po’ terrorizzati dissero: «Perché? Che è successo?» allora io risposi: «Non c'è tempo, datevi una mossa!»
Avevano capito che era accaduto qualcosa di molto grave ai miei amici, perciò non si fecero troppe domande e iniziarono a rimettere a posto tutto e ce ne andammo da quel posto. Una volta in macchina raccontai il tutto e non so per quale miracolo ma mi diedero retta. Forse avevano notato le macchie di sangue sui miei vestiti o il graffio gigantesco sul ginocchio che perdeva ancora sangue, qualunque cosa sia non m’interessa. Andammo dalla polizia ma all’inizio erano scettici, come dargli torto? Io non crederei proprio ad una storia del genere. Alla fine non mi diedero del tutto retta, ma andarono comunque in quel postaccio, ritrovarono i due corpi a pezzi, a uno mancava la testa e all’altro entrambe le gambe.
La notizia finì sul telegiornale nazionale e chiusero una volta per tutte quel luogo al pubblico, nessuno ci poteva più andare. È incredibile che una leggenda delle persone del posto, si rivelò una faccenda più inquietante e spaventosa di quanto si potesse immaginare. Non me lo perdonerò mai, i miei amici sono morti per colpa mia, se non avessi messo così tanta forza nel lanciare quel maledettissimo boomerang, adesso sarebbero ancora in vita e ci staremmo godendo un weekend strabiliante.
Il boomerang non ce l’ho più, l’avevo lasciato come dono al funerale dei miei amici, poveri loro, non sarebbero mai dovuti andare con me. Non ci credo ancora che tutto ciò sia successo per colpa mia.
La situazione a distanza di dieci anni non sembra essere cambiata, alcune persone continuano a vedere strane figure nella boscaglia o a sentire strani rumori, anche in alcune riprese fatte con dei droni si vedono strane figure o si riescono a sentire rumori inquietanti. Mi sono promesso di vendicare la morte dei miei amici ritornando in quella foresta e ammazzare la bestia nello stesso modo in cui ha ucciso i miei amici. State certi che la storia non finisce qui, anzi, il bello e il cruento devono ancora arrivare.
Continua...
Racconto di
Laurence Megahid, 1AS
Illustrazione di
Ettore Matteucci, 5AS
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