Recensione-parodia del trattato "Il Principe”
- Liceo Rocci
- 12 mag 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Mi sono trovata a leggere Il Principe di Machiavelli in un’uggiosa domenica che prometteva capelli elettrizzati e vestiti perennemente umidi a tutti coloro che fossero abbastanza sprovveduti da avventurarsi al di fuori dell’uscio di casa: essendo sempre stata particolarmente orgogliosa della mia assennatezza, mi sono presto rassegnata ad accoccolarmi accanto al caminetto con una bevanda calda in mano e dedicarmi alla lettura di quello che mi è stato descritto come “l’ultimo successo” e raccomandato da vari miei amici e molti più sconosciuti più o meno famosi, tutti accomunati da un grande entusiasmo nei confronti del libretto e dal non essere stati interpellati. Dico “libretto” perché temo che dire “libro” potrebbe offendere il manuale delle istruzioni della mia macchina fotografica (384 pagine di istruzioni ansiosamente ammassate tramite abbreviazioni ed illustrazioni semplificatorie) che al momento mi guarda in cagnesco dallo scaffale alla mia destra: Machiavelli può certamente reclamare per sé il dono della sintesi e le misere novantanove pagine di cui è composto il suo trattato ne sono la prova. Avendo dedicato circa tre ore e mezzo del mio pomeriggio alla lettura attenta del suo componimento, e potendo dunque a buon diritto affermare di avere una discreta comprensione degli argomenti che vi sono trattati, mi sento anzitutto in dovere di sottolineare l’ipocrisia dell’autore, che, pur lamentando ad ogni piè sospinto la mancanza di senso civico e morale degli uomini, la loro grettezza e la loro malvagità, non esita ad affermare -applicando con grande convinzione l’antidiluviana legge del taglione- che un politico debba talvolta comportarsi secondo il codice morale, e quindi da uomo, talvolta con la ferocia di una bestia. Il brillante ragionamento che lo porta ad esporre tale convinzione è estremamente semplice e si può così riassumere: dal momento che il politico si trova a dover agire in un ambiente tanto corrotto e spietato, egli deve necessariamente abbassarsi al livello degli altri per non farsi sopraffar e poter imporre la propria volontà; consiglierei all’autore un veloce ripasso della storia italiana, e più in particolare del secondo ventennio del ventesimo secolo, per spunti sul perché dare un consiglio di questo genere ai politici possa comportare un esito alquanto negativo per la popolazione, che lui sostiene di avere a cuore. Ignorerò nella mia recensione la confusione che affligge Machiavelli, più che evidente nella sua scelta di scrivere l’equivalente di un manuale di istruzioni per un “principe” pur dichiarandosi a favore della repubblica, nella speranza che anche i suoi più accaniti sostenitori si siano resi conto dell’eclatante contraddizione. Tornando a concentrarci su contenuti meno contraddittori, una delle caratteristiche più peculiari del libro è certamente la nuova visione proposta da Machiavelli del mondo della politica; chiunque abbia letto un giornale di recente è conscio dello scalpore che ha provocato e della velocità con cui si è arrivati a definirla una “teoria rivoluzionaria”. Devo ammettere di essere stata effettivamente colpita da questa teoria: nonostante la mia spiccata mancanza di fiducia nei confronti degli esseri umani (che sembro condividere con Machiavelli, ma grazie al cielo le somiglianze si fermano qui), non avrei mai creduto che nella mia vita avrei letto un libro scritto da un politico che persegua i propri interessi e quelli del proprio gruppo di appartenenza in maniera così aperta e sfacciata, né tantomeno che un libro del genere sarebbe stato osannato a questo modo dall’opinione pubblica - ovvero, in grandissima parte, dalla stessa fascia di popolazione che verrebbe incredibilmente danneggiata dall’applicazione dei rivoluzionari consigli contenuti nel “Principe”, trovandosi in balia di una classe dirigente composta da uomini disposti a tutto pur di ottenere potere e comunemente considerati al di sopra della comune morale in virtù del proprio ruolo. Come ho detto, il “Principe” è stata una lettura veloce, ma certamente non semplice: leggere propaganda genera in me un irritante senso d’impotenza, e lo scopo di Machiavelli è talmente evidente che la mia frustrazione non poteva che aumentare a dismisura: persino il suo linguaggio semplice, privo di fronzoli, sembra volersi avvicinare il più possibile alla parlata borghese, pur mantenendo quella formalità spesso usata per simulare competenza. L’indicatore più chiaro, però, è stato probabilmente il continuo ripetersi di una precisa struttura espositiva, consistente nella scissione della realtà in due possibilità opposte, che a loro volta possono essere divise in due possibilità antitetiche, e così dicendo. Questa continua dicotomia mi ha fortemente insospettita, poiché la storia e la nostra esperienza* ci insegnano che ridurre tutte le infinite possibilità in cui una situazione potrebbe declinarsi a due scenari opposti significa semplificare enormemente la realtà tramite la creazione di assoluti, e che questa tecnica viene spesso e volentieri utilizzata per spingere le persone a credere ciecamente a false ideologie in virtù della loro intuitività. Si potrebbero fornire numerosi esempi dell’applicazione di questa tecnica, e gran parte di essi proverrebbero da periodi di dittatura, ma basti ricordare le conseguenze che l’introduzione della “neolingua” nell’Oceania nell’iconico romanzo 1984 aveva avuto. La mia opinione, in conclusione, è che Il Principe non sia nulla di più di un libriciattolo di propaganda scritto da un demagogo intenzionato a convincere il popolo dell’intrinseca giustizia di una lotta di potere spietata e amorale tra i politici, scritto con un linguaggio ammiccante e zeppo di semplificazioni della realtà proprio a questo scopo, e che la mia Domenica pomeriggio sia andata sprecata. *Ci tengo solo a sottolineare che l’ironia nell’applicare il metodo induttivo tipico di Machiavelli nello scagliarsi contro ogni caratteristica della sua opera e del suo stile è un effetto voluto*
Marta De Gregorio, 4BS.
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