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Il cavaliere del secchio

  • Immagine del redattore: Liceo Rocci
    Liceo Rocci
  • 5 dic 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Per Natale la Redazione ha deciso di proporvi una serie di testi.

Ne pubblicheremo uno ogni sabato, da oggi fino a Natale.

Se ti va, scrivi una riflessione su quanto leggerai e manda una mail a iolorenzopenso@gmail.com

Sabato 5 dicembre 2020.

Il Cavaliere del secchio

Franz Kafka, 1917.


Tutto il carbone consumato; vuoto il secchio; assurda la paletta; la stufa che manda freddo; la stanza gonfia di gelo; davanti alla finestra alberi irrigiditi dalla brina; il cielo uno scudo d’argento contro colui che gli chiede soccorso. Devo trovare il carbone; non dovrò mica gelare; dietro di me la stufa spietata, davanti a me il cielo nelle stesse condizioni, perciò devo barcamenarmi e cercare aiuto dal carbonaio. Questi però è già insensibile alle mie solite preghiere; devo dimostrargli con precisione che non ho più neanche una briciola di carbone e che pertanto egli è per me addirittura il sole del firmamento. Devo presentarmi come il mendico che rantolando dalla fame sta per morire sulla soglia, sicché la cuoca dei signori si risolve a versargli i fondi dell’ultimo caffè; nello stesso modo il negoziante, sia pure furibondo, ma sotto la minaccia del comandamento «Non ammazzare!» dovrà gettare una palata nel mio secchio. Il mio stesso arrivo deve decidere: perciò vado da lui a cavallo del secchio. Cavalcando attaccato al manico, briglie semplicissime, giro scendendo faticosamente le scale; laggiù però il secchio rimonta stupendo e magnifico; non sono più belli i cammelli quando, coricati per terra, si alzano scrollando sotto il bastone del cammelliere. Lungo la via gelata si va a trotto regolare; più volte mi sento sollevato fino all’altezza dei primi piani; non scendo mai fino alla porta di casa. E a insolita altezza mi libro davanti alla bottega sotterranea nella quale il venditore sta rannicchiato davanti al deschetto e scrive: per sfogare il caldo eccessivo tiene la porta aperta. – Carbonaio – chiamo con voce arsa e scavata dal freddo, avvolto nel vapore del mio respiro, – per piacere, carbonaio dammi un po’ di carbone. Il mio secchio è così vuoto che ci posso cavalcare. Fammi il piacere. Appena potrò ti pago. Il bottegaio porta la mano all’orecchio. – Sento bene? – domanda girandosi verso la moglie che lavora a maglia presso la stufa. – Sento bene? Un cliente –. – Io non sento nulla – dice la donna respirando tranquillamente sopra i ferri da maglia col calduccio nella schiena. – Sì, sì – esclamo, – sono io, un vecchio cliente, fedele e devoto, ma in questo momento senza un soldo. L’uomo dice: – Sì, moglie mia, c’è qualcuno; non posso ingannarmi fino a questo punto; deve essere un vecchio, vecchissimo cliente, se mi tocca il cuore così. – Che hai, marito mio? – dice la donna premendosi il lavoro al petto per riposare un istante. – Non c’è nessuno, la strada è deserta, tutti i nostri clienti sono provvisti; potremmo chiudere bottega per qualche giorno e riposare –. Ma io sono seduto qui sul secchio – grido, mentre crudeli lacrime di freddo mi velano gli occhi. – Guardate quassù, per favore, mi vedrete subito; vi chiedo una palata di carbone, e se me ne date due, mi farete quanto mai felice. Già tutti gli altri clienti sono provvisti. Oh, lo sentissi sbatacchiare nel secchio! – Vengo – risponde il carbonaio e fa per salire con le gambe corte la scala dello scantinato, quando la moglie lo raggiunge, lo prende per un braccio e gli intima: – Tu rimani qui. Se continui nella tua testardaggine, salgo io. Ricorda come hai tossito questa notte. Si sa, per un affare, sia pure immaginario, abbandoni moglie e figli e sacrifichi i polmoni. Vado io. – Allora digli tutte le qualità che abbiamo in deposito: i prezzi te li suggerisco io. – Bene – dice la donna e sale sulla via. Naturalmente mi vede subito. – Signora carbonaia – esclamo, – i miei ossequi. Soltanto una palata di carbone; qui direttamente nel secchio; me lo porto a casa da me; una palata del peggiore. S’intende che lo pago per buono, ma non subito, non subito –. Quale squillo di campana sono le due parole «non subito» e come si uniscono inebrianti alle campane della sera che suonano dal campanile vicino! – Che cosa vuole dunque? – chiede il carbonaio. – Niente – risponde la moglie, – non c’è niente, non vedo nulla, non sento nulla; suonano le sei e noi chiudiamo. C’è un freddo terribile; domani avremo probabilmente ancora molto da fare. Ella non vede niente e non sente niente; tuttavia si slega il grembiule e con esso cerca di cacciarmi via. Purtroppo ci riesce. Il mio secchio ha tutti i pregi d’una buona cavalcatura, ma non ha alcuna forza di resistenza; è troppo leggero, un grembiule femminile gli fa alzare le gambe. – Perfida! – grido mentre lei, volgendosi verso il negozio, agita le mani nell’aria tra sprezzante e soddisfatta. – Perfida! Ti ho chiesto una palata del più scadente e tu non me l’hai data –. Così dicendo salgo nelle regioni delle Montagne di ghiaccio e mi sperdo per non più ritornare.


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